IL TRIBUNALE

    Nel procedimento penale n. 1579/07 r.g. trib. a carico di Fartoza
Mohamed,  imputato  del reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, «perche' deteneva a fine di spaccio gr. 23,045 netti di
hashish,  da  cui  sono  ricavabili  38  singole  dosi medie sostanza
stupefacente.  In  Roma il 15 gennaio 2007. Con la recidiva reiterata
infraquinquennale», all'udienza del 30 gennaio 2007 ha pronunciato la
seguente ordinanza.
    Ritiene  il tribunale che ricorrano le condizioni di cui all'art.
23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  per sollevare d'ufficio la
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma,
codice  penale,  come  novellato  dall'art.  3 della legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  nella  parte  in cui, nei casi previsti dall'art. 99,
quarto  comma,  c.p.,  stabilisce  il  divieto  di  prevalenza  delle
circostanze  attenuanti  sulle  ritenute  circostanze aggravanti, per
violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    La  questione  appare  invero  rilevante, non potendo il giudizio
essere  definito  indipendentemente  dalla  questione di legittimita'
costituzionale   della  norma  in  questione,  e  non  manifestamente
infondata.
    Quanto alla rilevanza della questione, si osservi quanto segue.
    In  data 16 gennaio 2007 Fartoza Mohamed veniva tratto in arresto
dinanzi  a questo tribunale per la convalida e il successivo giudizio
direttissimo in relazione al reato descritto in epigrafe. Convalidato
l'arresto,  all'udienza  successiva  l'imputato,  a mezzo del proprio
difensore, avanzava richiesta di definizione del giudizio con il rito
abbreviato  e  il  tribunale disponeva in conformita'. Indi, le parti
concludevano come riportato a verbale.
    Ebbene,  va  premesso,  anzitutto,  che  sussistono agli atti del
procedimento  sufficienti  elementi per potersi pervenire al giudizio
di  penale  responsabilita'  dell'imputato  per il fatto in addebito.
Riveste  rilevanza,  al  riguardo,  quanto  distintamente  notato dai
militari  in  ordine  alla  condotta tenuta nel frangente dal Fartoza
(visto  dapprima  incidere  con  una lama qualcosa che aveva in mano,
quindi  avvicinarsi  e  parlare con un giovane, quest'ultimo datosi a
precipitosa   fuga   mentre   stava  estraendo  delle  banconote  dal
portafogli  non appena avvedutosi della presenza dei militari, infine
disfarsi  di  tre  frammenti di hashish che teneva in mano) e l'esito
della  perquisizione  disposta  a  carico  dello  stesso,  trovato in
possesso  di un ulteriore frammento di hashish celato all'interno dei
pantaloni della tuta che indossava.
    Cio'  premesso,  ricorrono  pero',  ad  avviso del giudicante, le
condizioni  per  ricondurre il fatto in esame alla fattispecie di cui
al   quinto   comma   dell'art.   73  d.P.R.  n. 309/1990.  Cio',  in
particolare,  in  considerazione  del  modesto dato ponderale e della
qualita'  della sostanza rinvenuta nella disponibilita' dei Fartoza -
dall'analisi  tossicologica  e'  risultato  che  i  quattro frammenti
contengono  gr.  23  di  sostanza  resinosa  con il principio) attivo
dell'hashish  nella  misura  del 4,0% circa, dalla quale e' possibile
ricavare  38  singole  dosi  medie -, dati, questi, che indubbiamente
evidenziano  la  contenuta  offensivita'  della condotta e consentono
agevolmente  di  ricondurre  l'episodio  ad  un  fenomeno  di piccolo
spaccio. Conforta tali conclusioni il possesso da parte dell'imputato
di  un  semplice tagliaunghie e di appena 120,00 euro, trattandosi di
circostanze  rivelatrici  della  dedizione  ad  un commercio su scala
ridotta.  In  proposito, va sottolineato che non sussistono dubbi, ad
avviso  di  questo  tribunale,  circa  la natura di circostanza della
cosiddetta   «ipotesi  lieve».  Al  riguardo,  la  suprema  Corte  di
cassazione  a  sezioni  unite  ha  gia'  da tempo affermato che detta
ipotesi normativa configura non una fattispecie autonoma di reato, ma
una   circostanza   attenuante  ad  effetto  speciale,  essendo  essa
correlata   ad  elementi  (i  mezzi,  le  modalita',  le  circostanze
dell'azione,  la  qualita'  e  la  quantita'  delle sostanze) che non
mutano,   nell'obbiettivita'   giuridica   e   nella   struttura,  le
fattispecie   previste   dai   primi   commi   dell'articolo,   ma  -
conformemente del resto a quanto sempre ritenuto dal supremo Collegio
in  presenza  di  espressioni  normative  relative ai «fatti di lieve
entita» - attribuiscono ad esse solo minore valenza offensiva e grado
di  pericolosita'  (cfr.  sul punto, Cass.. sez. un., 31 maggio 1991,
Parisi;  nonche' Cass. n. 38879 del 29 settembre 2005; Cass. n. 20556
del 24 febbraio 2005; Cass., sez. un., n. 17 del 21 giugno 2000).
    Detto   principio,   costantemente   seguito   dalla   successiva
giurisprudenza  di  legittimita',  conserva intatta la sua validita',
non  essendone  mutati  i presupposti argomentativi di fondo, anche a
seguito dei successivi interventi normativi incidenti sul Testo unico
delle  leggi  in  materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope  (d.P.R.  n. 309  del  1990),  sino all'ultimo, costituito
dalla  legge  21 febbraio 2006, n. 29. Quest'ultima novella rafforza,
anzi,   il   suddetto   convincimento,   laddove  elimina  in  radice
l'argomento  letterale  utilizzato  dai fautori della tesi contraria,
desumibile  dal  disposto  del  previgente art. 90, d.P.R. n. 309 del
1990,  il  quale  stabiliva,  in  tema di sospensione dell'esecuzione
della  pena  detentiva,  che «la stessa disposizione si applica per i
reati previsti dall'art. 73, comma 5 ...». Ebbene, il menzionato art.
90,  nella  sua  nuova  formulazione,  non  contiene piu' il predetto
equivoco  riferimento  ai «reati» di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R.
n. 309 del 1990; mentre, per altro verso, rimane fermo l'argomento di
segno opposto, desumibile dalla lettera dell'art. 380, secondo comma.
lett.  h),  c.p.p., come sostituito dall'art. 2 d.l. n. 247 del 1991,
convertito in legge n. 314 del 1991, il quale definisce espressamente
come «circostanza» la fattispecie prevista dal quinto comma dell'art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990.
    Dal  fatto  che  trattasi  di circostanza attenuante discende che
essa  e'  soggetta  all'obbligatorio  giudizio di comparazione di cui
all'art.  69,  quarto comma, c.p. con le circostanze di segno opposto
eventualmente   ritenute,  tra  le  quali  pacificamente  rientra  la
recidiva (circostanza inerente la persona del colpevole).
    Ora,  atteso  che  indubbiamente  ricorrono nel caso in esame gli
estremi  della  contestata recidiva specifica, e infraquinquennale di
cui all'art. 99, comma 4 c.p. - l'imputato risulta infatti gravato da
due precedenti penali specifici per i quali ha riportato condanna con
sentenze  del  Tribunale  di Modena in data 31 ottobre 2003, divenuta
irrevocabile il 9 dicembre 2003, e del Tribunale di Verona in data 11
marzo  1999,  divenuta  irrevocabile  il  15 ottobre  1999 - e che il
novellato  art. 69, comma quarto c.p. consente unicamente il giudizio
di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti in termini di
equivalenza,  ne  consegue  dunque che, ritenuta l'equivalenza tra la
recidiva  contestata  e  la  ritenuta  circostanza  attenuante di cui
all'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, la pena da infliggersi
all'imputato  (salva  la diminuente del rito) puo' essere solo quella
prevista  dal  comma  1  della  medesima  norma  (ai  sensi di quanto
previsto  dall'art.  69,  comma 3 c.p.), determinata dal legislatore,
nel minimo, in anni sei di reclusione e 26.000,00 euro di multa.
    Da  qui  la rilevanza della questione prospettata, consentendo il
giudizio  di  prevalenza  della  circostanza  attenuante del fatto di
lieve   entita'  sulla  recidiva  contestata  -  giudizio  consentito
dall'art. 69 c.p. anche per quanto riguarda le circostanze ad effetto
speciale  - la comminazione di una pena contenuta nei limiti edittali
previsti  dal  quinto  comma  in  luogo  di quella, assai piu' aspra,
prevista dal primo comma.
    Venendo   al  profilo  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione  proposta,  ritiene il Tribunale che l'attuale formulazione
dell'art.  69,  comma  4  c.p., nella parte in cui, nei casi previsti
dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce il divieto di prevalenza
delle  circostanze  attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti,
dia luogo ad una violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Si osservi che tra i caratteri che la pena deve possedere secondo
la  Costituzione  vi  e'  quello della proporzionalita' rispetto alla
gravita'  del  fatto.  Tale  principio, cardine della moderna cultura
giuridica e limite logico del potere punitivo nello Stato di diritto,
e'   insito   nel  concetto  retributivo  di  pena  (il  male  subito
costituisce  il corrispettivo del male inflitto se ed in quanto sia a
questo  proporzionato)  ed e' costituzionalizzato dagli artt. 3 e 27,
primo  e  terzo  comma  Cost.,  che  impongono,  rispettivamente,  il
trattamento  differenziato  delle  situazioni diverse e l'ineludibile
giustizia  della  pena,  intrinseca  nel  carattere  personale  della
responsabilita'  e  presupposto  dell'azione rieducatrice della pena.
Concetto, quello della proporzionalita', che impone al legislatore la
previsione  di  pene  edittali  graduate in relazione ad una scala di
gravita'  dei  reati  (gravita'  determinata  dal rango dei beni, dal
grado  e  dalla quantita' dell'offesa, dal tipo di colpevolezza) e la
concreta  graduabilita'  da parte del giudice della misura della pena
edittale  in  relazione  ad  una  scala  di  gravita'  delle  ipotesi
ricomprese nella fattispecie legale.
    Solo  una  pena proporzionata all'offesa e' in grado di assolvere
alla  sua composita funzione retributiva, intimidatrice e rieducativa
e di armonizzarsi con i principi costituzionali di eguaglianza, della
responsabilita'  personale  e  del  finalismo rieducativo della pena,
laddove  invece  una  pena  sproporzionata lede tanto il principio di
eguaglianza  (art.  3  Cost.),  che implica un pari trattamento degli
eguali  ma  anche  una diversificazione dei distinti e che si traduce
per  il legislatore in un imperativo di ragionevolezza in ordine alle
differenziazioni  e  alle  equiparazioni operate, quanto il principio
della  personalita'  della  pena  (art.  27,  primo comma Cost.), che
impone,  tra  l'altro, che la pena sia adeguata, nella specie e nella
quantita', anche alle condizioni personali dell'agente, quanto infine
il   principio   che   impone   (nel  triplice  momento  legislativo,
giudiziario   ed   esecutivo)  l'individualizzazione  della  pena  in
funzione   delle   esigenze   specialpreventivo-risocializzative  del
soggetto  (art.  27, terzo comma Cost.), sacrificando l'irragionevole
durezza  della  sanzione  il  singolo  a  supposte superiori esigenze
collettive di stabilita' e difesa sociale.
    Il giudizio di comparazione fra circostanze e' uno degli istituti
finalizzati a consentire, nel momento della decisione giudiziaria, di
rendere  la  pena  adeguata,  nella  qualita'  e  nella  misura, alla
gravita'  del  fatto e alla personalita' del suo autore (la finalita'
e'  proprio  «quella di apprezzare la personalita' del colpevole e la
vera  entita' del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della
pena  al  caso  concreto»,  Cass., sez. IV, 28 giugno 2005, n. 30432,
P.G.  Milano  in  proc.  Matti),  sicche' la negazione di un completo
giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto finisce per
omogeneizzare   il  trattamento  di  situazioni  anche  profondamente
diverse   e   per   pregiudicare,   oltre  che  la  stessa  efficacia
generalpreventiva   della   pena   (che   presuppone   a   sua  volta
l'adeguatezza della sanzione, poiche' la pena, se troppo severa, puo'
essere  addirittura  criminogena,  istigando  alla  ribellione e alla
solidarieta'  con  il reo, trasformato in vittima), anche la funzione
rieducativa  cui  essa  deve tendere, assolta solo calibrando la pena
sulla  personalita'  e i bisogni risocializzativi dell'autore. E cio'
in  modo particolare allorquando il divieto di prevalenza riguardi le
circostanze attenuanti ad effetto speciale, concepite dal legislatore
con  la  previsione  di  pene  assai  piu' miti proprio per conferire
speciale rilievo alla ridotta offensivita' del fatto.
    Nel  caso in esame, ritiene il tribunale che il novellato art. 69
c.p.,  nella parte in cui prevede che la circostanza soggettiva della
persona  del colpevole consistente nell'avere riportato piu' condanne
penali   non  consenta  il  giudizio  di  prevalenza  delle  ritenute
circostanze   attenuanti,  possa  dare  luogo  ad  una  irragionevole
sproporzione  tra  il  trattamento  sanzionatorio  applicabile  e  la
concreta  gravita'  del reato e della colpevolezza. Specie in ipotesi
di  reato  come quella di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in cui
assai  marcata  e'  la  differenza  nel  trattamento  tra fattispecie
ordinaria   e   attenuata,  il  divieto  di  prevalenza  finisce  per
neutralizzare  la  portata sanzionatoria della circostanza ad effetto
speciale  con  la  conseguenza  di  omogeneizzare  il  trattamento di
situazioni  profondamente  diverse  (il narcotrafficante di rilevanti
partite  di  stupefacente contemplato dal comma primo e l'occasionale
cedente  di  qualche  modesta  dose  del quinto comma). Precludere il
giudizio  di  prevalenza  conduce in effetti ad applicare la medesima
risposta  sanzionatoria  a condotte di gravita' estrema e condotte di
gravita'  modestissima  e  ad  autori  dalle  personalita'  del tutto
diverse.   Si   pensi,   a   quest'ultimo  riguardo,  all'uniformita'
sanzionatoria  che  si  produce  in forza della norma in commento con
riferimento  a  imputati  ritenuti  meritevoli  di  una pluralita' di
attenuanti  e imputati ai quali sia riconosciuta una sola circostanza
attenuante;  a  recidivi  per  reati c.d. «bagatellari» o comunque di
modesta  gravita'  e  recidivi  per  reati gravissimi: a recidivi per
reati  assai  risalenti  nel  tempo e recidivi per reati recentemente
consumati.
    Tali  sono i motivi per cui appare rilevante e non manifestamente
infondato  il dubbio di costituzionalita' dell'art. 69, quarto comma,
codice  penale,  come  novellato  dall'art.  3 della legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  nella  parte  in cui, nei casi previsti dall'art. 99,
quarto   comma,   c.p.,   stabilisce   divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.